I robot e l’intelligenza artificiale distruggono posti di lavoro, le piattaforme di sharing non rispettano le regole, le start-up della Gig economy sfruttano i più giovani: la tecnologia digitale è spesso sul banco degli imputati.
Eppure, è innegabile che la tecnologia abbia contribuito nell’ultimo ventennio a migliorare la qualità della vita in molteplici ambiti, dandoci nuovi strumenti con cui comunicare, lavorare, viaggiare, coltivare le nostre passioni e persino divertirci. Se osserviamo con attenzione le trasformazioni che il digitale ha reso possibili, ci accorgiamo in realtà che il suo sviluppo non ci porta lontano dall’individuo, bensì viaggia nella direzione opposta.
Ecco il senso della parola ‘Humanification’, che oggi ricorre sempre più spesso nelle analisi proposte dagli esperti del settore. Ove ben utilizzata, la tecnologia riporta l’uomo al centro dell’attenzione, amplificando le sue possibilità di conoscere e sperimentare il mondo, creando nuove modalità di relazione e collaborazione all’interno di gruppi e comunità.
Nelle imprese, la tecnologia solleva le persone dalle incombenze più faticose e ripetitive, può contribuire a liberare la creatività e valorizzare il talento dei singoli e dei team, stimola l’innovazione di prodotti e processi. Grazie alla tecnologia molte organizzazioni hanno introdotto politiche efficaci di smart working e welfare aziendale, aumentando la soddisfazione dei collaboratori con una ricaduta positiva in termini di efficacia, produttività ed efficienza.
Il digitale è una realtà che, nonostante qualche comprensibile diffidenza, finisce per essere apprezzata e sempre più richiesta. Secondo un sondaggio condotto da Manager Italia per Wobi, il 40% dei dirigenti ritiene che l’integrazione tra fattore umano e tecnologia rappresenti la strada per far crescere le aziende, e che il digitale abbia effetti dirompenti e irrinunciabili sulla creatività delle persone (37%), l’empatia (35%), il problem solving (12%) e l’intraprendenza (9%).
Siamo pronti a vivere il nuovo Umanesimo 4.0?